Nel caso specifico, (n. 22196 depositata l’8 maggio 2017), un procacciatore di affari per una società finanziaria è stato condannato per avere falsificato un contratto di finanziamento, facendo apparire che un tale avesse stipulato un contratto di finanziamento di 3 mila euro per l’acquisto di un televisore.
I reati contestati al rappresentante erano due: il falso in scrittura privata (Articolo 485 codice penale) per avere contraffatto il documento e le firme; il trattamento dei dati personali senza consenso (articolo 167 del codice della privacy). La questione è pervenuta alla Cassazione, che con la sentenza in oggetto si è occupata, innanzi tutto, dell’intervenuta abrogazione dell’articolo 485 del codice penale.
In effetti l’articolo 1, comma 1, lettera a), del dlgs 7/2016 ha abrogato l’articolo 485 del codice penale e le falsificazioni delle scritture private non sono più previste dalla legge come reato (salvo alcune eccezioni).
L’abrogazione dell’articolo 485 codice penale non consente all’autore del falso di sottrarsi da qualsiasi conseguenza sanzionatoria.
Certo residua la possibilità per la vittima o, comunque, per il soggetto danneggiato di chiedere il risarcimento dei danni subiti.
Questo vuol dire però che bisogna iniziare un processo civile a parte con i tempi e i costi della giustizia civile. Inoltre in caso di insolvibilità del danneggiante, il sistema di fatto non prevede alcuna possibilità di reazione efficace.
Peraltro rimane una possibilità. Svincolare il falso in scrittura privata dal quadro delle previsioni penali, non significa eliminare sempre una possibilità di condanna.
Rimane, infatti, la questione della violazione della privacy.
Non a caso nel caso specifico la Cassazione ha rinviato alla Corte di appello per la determinazione della pena, essendo rimasta in piedi la sola condanna per la violazione della privacy.
Il reato punito dall’articolo 167 del codice della privacy sottopone alla pena della reclusione da 6 a 18 mesi (ipotesi base), salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione, tra gli altri, dell’articolo 23 dello stesso Codice della privacy (obbligo di consenso), se dal fatto deriva nocumento.
Questo significa che trattare i dati senza il consenso dell’interessato espone a conseguenze penali, purché siano riscontrabili gli altri requisiti elencati nell’articolo: finalità di profitto o di danno e conseguenza lesiva.
Anzi. Si deve aggiungere che, oltre alla conseguenza penale, c’è anche una sanzione amministrativa. Ai sensi dell’articolo 162, comma 2-bis, del codice della privacy, infatti, in caso di trattamento di dati personali effettuato in violazione delle disposizioni indicate nell’articolo 167 deve essere applicata in sede amministrativa, in ogni caso, la sanzione del pagamento di una somma da 10 mila euro a 120 mila euro.
In sostanza l’abrogazione dell’articolo 485 del codice penale non neutralizza una sanzione penale, purché si faccia un trattamento dati altrui (diverso sarebbe il caso dell’uso di dati di fantasia).
Fonte: Italia Oggi del 15 maggio 2017 Articolo a cura di Antonio Ciccia Messina